Ogni xilografia giapponese è il frutto di un rito antico, silenzioso e preciso.
Un gesto d’artista che inizia con una visione su carta sottile, il hanshita-e, tracciata con mano sicura, poi incollata a rovescio sul legno di ciliegio. È lì che inizia la trasformazione.
L’intagliatore, o horishi, scolpisce pazientemente il blocco, seguendo le linee del disegno con strumenti affilati e gesti meditati. Per ogni colore, nasce un nuovo blocco: uno per il contorno, altri per le sfumature, altri ancora per i dettagli.
Il surishi, lo stampatore, prende allora la scena.
Sull’incisione stende inchiostro a base d’acqua, posando con precisione il foglio di carta washi. Poi, con un baren, pressa la superficie con gesti circolari. L’immagine prende forma. A ogni passaggio, un colore si sovrappone all’altro, in un’armonia che richiede equilibrio assoluto.
E infine, i tocchi segreti: il bokashi per le sfumature leggere come nebbia, il mokume per lasciare intravedere le venature del legno, o la lacca dell’urushi-e che fa brillare la superficie come seta sotto il sole.
Quello che appare sulla carta non è solo un’immagine: è un’eco silenziosa di maestria, tradizione e pazienza.